Mirko PagliacciCortona: 1 - 30 settembre 2009
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'Così tra questa immensità s’annega il pensier mio e naufragare m’è dolce in questo mare’
Il pensiero, dinnanzi alle opere del maestro Mirko Pagliacci si volge istintivamente all’infinito, perdendosi in sovrumani silenzi ed interminati spazi, illuminati dai bagliori di un caos, di una esplosione iniziale, un big-bang che, per la Teogonia di Esiodo, è addirittura antecedente al processo originatore delle divinità: ‘primissimo fu il caos, poi fu la terra dall’ampio seno....e l’amore che eccelle tra gli dei immortali’. Dunque dal caos al mito utilizzando la lettura stratigrafica di Mirko Pagliacci! I suoi miti sono concretizzati in iconografie archeologiche, fluttuanti in assenza di gravità, nella bianca luce di fondo delle sue tele; iconografie protese a trovare nello spazio complessi equilibri, sistemi di pesi e contrappesi, bilanciamenti, in un sottile gioco che richiama il lento vagare spaziale dei ‘mobiles’ di Calder. E’ in questo impercettibile vagare di corpi ed oggetti di antica memoria, alla ricerca di equilibrio, che si nasconde parte dell’ampia attualità di questo artista. Il mito, Dio, in un contesto umano quale l’attuale, socialmente liquido, non può che essere necessariamente riaffermato come unico parametro di riferimento: è il punto fermo, oasi nel deserto, isola del naufrago, amore! L’amore, tuttavia, si nutre dell’ideale, dell’immaginazione, come dice Zygmunt Bauman: ‘l’amore non è qualcosa che si possa trovare non è un objet trovvè o un ready-made. E’ qualcosa che richiede di essere creato e ricreato ogni giorno, ogni ora; che ha bisogno di essere costantemente risuscitato e riaffermato, e richiede attenzioni e cure.’ Pagliacci lo coltiva con la sua arte, dove l’uso metaforico delle iconografie archeologiche recupera aspetti di una antica quotidianeità, dal cratere, al kouroj allo schifos: l’artista facendoli assurgere a simbolo del mito imprime, così, loro l’aurea del Divino. E’ un processo che stigmatizza il valore spirituale, sublime del gesto umano laddove trova applicazione nella quotidianeità delle piccole cose. E’ il modo che Pagliacci ha di indicare un’arte del vivere alternativa alla odierna vita di corsa, totalmente presa dall’economia dell’esperienza e dell’effimero. ‘Se dietro di lui, come indica Duccio Trombadori ‘ci sono validi suggeritori, che si chiamano Schwitters, Man Ray, Rauschenberg, Kounnelis, Tano Festa e Mario Schifano’ la sua tecnica è però personalissima. Lo strappo dell’immagine, come nell’affresco, scelta per veicolare l’altrettanto personalissimo messaggio, si impone sulla tela coinvolgendo le tessiture e divenendo tutt’uno con essa.Le parole stesse dell’artista sono chiarificatrici: ‘Passo su Picasso, su Sironi, vedo delle cose di Rauschenberg degli anni ‘50 e allora strappo, violento l’opera, la cancello, ed esce qualcosa di mio, solo mio’. Maria Laura Perilli |
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